Reti vs, banche tradizionali

Reti vs, banche tradizionali, un confronto impietoso ai tempi del Covid

di Nicola Ronchetti

La pandemia ha piegato in due il nostro paese e tutto il mondo,
pochissimi settori sono usciti indenni dalla prima ondata, ancora meno
saranno quelli che usciranno sani e salvi dalla seconda ondata. Le reti
dei consulenti finanziari sono riuscite non solo a passare indenni da
questo tsunami ma addirittura ne sono uscite rafforzate. I motivi sono
sostanzialmente tre.

Il primo motivo attiene all’elevato livello di digitalizzazione
raggiunto delle reti. L’essenza stessa del lavoro del consulente
finanziario è la sua capacità di operare “fuori sede” ovverosia senza la
necessità di appoggiarsi ad un ufficio o a una filiale. Venti anni fa
questo era vissuto come un limite, oggi si è rivelato un vantaggio
competitivo. Le reti hanno iniziato per prime a investire in piattaforme
di remote banking, dotando i propri consulenti finanziari di strumenti
all’avanguardia in grado di operare in mobilità.

Alcune reti sono poi native digitali e la trasformazione digitale
l’hanno cavalcata, in alcuni casi anche innescata, certamente non
l’hanno subita come alcune banche che sono state travolte dagli eventi.
Gli investimenti nel digitale, per avere successo, presuppongono poi di
essere innestati e piantati su un terreno fertile. Le reti, molto più
giovani della media delle banche, non hanno dovuto perdere tempo ed
energia per dissodare substrati geologici accumulati negli anni, come le
loro “sorelle” più anziane.

Il secondo motivo per cui le reti stanno reagendo in modo positivo alla
pandemia è legato a una catena di comando più snella rispetto a realtà
più complesse come quasi tutte le banche. Ci sono solo pochi grandi
istituti che, grazie a un modello federativo, stanno affrontando la
pandemia superando a pieni voti tutti gli ostacoli grazie a
un’organizzazione delle deleghe diffusa e mirata al massimo
dell’efficienza. Si tratta però di eccezioni.

Nel caso delle reti, invece questa è la regola: una catena di comando
snella dove le figure apicali sono poche e con deleghe chiare, a
contatto con i consulenti finanziari, è questo è un indubbio vantaggio
competitivo. Le reti dei consulenti finanziari sono un po’ come i
gladiatori di Massimo Decimo Meridio nell’atto in cui il Gladiatore e i
suoi affrontano tigri e pretoriani nel Colosseo: in grado di serrare i
ranghi e mettersi in formazione per resistere meglio al nemico, nel
nostro caso al virus.

Il terzo motivo per cui le resti si stanno dimostrando più resilienti
delle banche /e in generale di qualsiasi altro settore) sta nella figura
stessa del consulente finanziario e nella sua essenza.

Una figura in grado di riassumere in sé le migliori caratteristiche di
un imprenditore, di un professionista e di un manager motivato che crede
nella sua azienda. Dell’imprenditore ha la capacità di reagire agli
eventi avversi e di essere proattivo perché sa che tutto dipende da lui
e che la fine del mese è un giorno come altri e non il giorno di paga.

Del professionista il consulente finanziario ha la lucidità di analisi,
il desiderio di tenersi costantemente aggiornato, di investire sulla
propria formazione e sulla continua crescita professionale; ma un altro
suo tratto distintivo è anche la capacità di ascolto, dote oggi sempre
meno diffusa. Del manager di un’azienda, il consulente finanziario ha il
senso di appartenenza alla squadra, l’orgoglio della maglia e la fiducia
nel management che la guida.

I frutti del combinato disposto di queste capacità si è visto durante il
primo lockdown: a una settimana dall’emergenza il 56% dei clienti era
stato contattato dal suo cf, contro il 14% dei clienti seguiti da una
banca generalista. A tre settimane dall’inizio del lockdown i clienti
soddisfatti del proprio cf erano il 71% rispetto al 37% dei clienti di
una media banca generalista. Questi sono fatti, non parole.

Fonte:Bluerating

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